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OTTO DOMANDE - OTTO RISPOSTE

50 anni della parrocchia di S. Agostino

DOMANDE DI GIANLUCA DELLA MAGGIORE  

1


Cominciamo da qui. Il “seggiolone” in sacrestia. Il tetto del campanile con don Betti. E il circo Medrano piantato alla Pinetina dove l’11 marzo 1973 animasti la celebrazione. Tre luoghi “chiave” della tua prima vita a S. Agostino. Che ricordi hai di quando da bambino frequentavi la parrocchia?

La mia famiglia si trasferì in via Medaglie d’oro nel 1958, avevo dieci anni, provenivo da una parrocchia attiva ed organizzata come era quella dei Salesiani. Mio padre mi accompagnò da don Betti, suo collega a scuola e parroco a s. Agostino. Non c'era niente una casa senza intonaco, una chiesa che era un salone, od un salone che era chiesa. Fuori un grande piazzale ed il viale dei Pini con la loro ombra. Lì ho conosciuto il nuovo parroco, sotto quell’ombra con un nugolo di ragazzini seduti su panchine, un cartellone del “tombolicchio” e la fisarmonica che don Betti suonava per tenere insieme quel gruppo. Questo fu il primo impatto, poi la messa domenicale stretta in quel salone con il Sig. Solari, in piedi su una sedia che leggeva in italiano il vangelo che il prete diceva in latino… una novità per quei tempi.
I laici avevano un ruolo fondamentale… ho incontrato figure spledide: Landi, Battaglini, Borghini, Bettini, Saltini, Castellani… una lista senza fine di persone coinvolte ed impegnate in modi diversi; ma anche persone “diverse” accolte ed integrate in un modo di essere Chiesa diverso da quello di oggi ma per l’epoca modernissimo.
Poi le figure belle di Preti come don Orfeo, don Ugo, padre Strada e tanti che sono passati da quelle stanze.

2  
Il giorno dell’Ordinazione e della prima messa (10 e 11 novembre 1973). Quali ricordi hai?

Non vorrei essere patetico, ma di quei giorni non ricordo nulla, se non ciò che ho visto poi nelle foto. C’era un mucchio di persone che non avrei mai aspettato, seminaristi e preti incontrati nei sei anni di seminario e persi di vista, venute da lontano… ancora oggi non mi capacito.

3  

Dicembre 1994. Comincia la tua seconda vita a S. Agostino. Ti ricordi le sensazioni di quando ti annunciarono la nomina a parroco della tua vecchia parrocchia? Con quali speranze e quali timori arrivasti a S. Agostino?

La proposta che il Vescovo Alberto mi fece per la parrocchia di s. Agostino mi colse di sorpresa e del tutto impreparato. S. Agostino non è e non era una parrocchia qualsiasi, nella Diocesi ha assunto negli anni una carattere emblematico, citata come modello, con un parroco modello, io direi piuttosto un mito e sostituire un mito non è facile. La prima evidente risposta fu “prima viene l’obbedienza e poi le altre considerazioni” e di considerazioni ne feci molte e la più evidente fu che nessuno è profeta in patria, ma il vescovo smontò ogni mia obiezione e mi dette una carica di fiducia tale che accettai pienamente l’incarico. Era il mio quarto incarico, ma era la prima volta che avrei dovuto lasciare una parrocchia da parroco, dopo 15 anni, dopo aver costruito una chiesa e non solo quella. Fu uno strappo non da poco!

4  

Una caratteristica essenziale dei tuoi 14 anni da parroco è l’aver reso la parrocchia una casa accogliente per i fratelli meno fortunati. «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri». In queste parole di Giovanni c’è probabilmente molto del significato della tua esperienza come parroco tra queste gente…

Quando si va parroco in una parrocchia occorre tentare di cancellare dalla mente e dal cuore l’esperienza precedente… è stata certamente un’esperienza che ti ha costruito e non devi demolire la costruzione, ma devi evitare di riproporre modelli, schemi di lavoro, prassi che hai sperimentato con soddisfazione ma che potrebbero non adattarsi alla nuova comunità che ha una sua esperienza ed una sua storia… la tua storia di prete conta per te e per quello che sei, ma non per la parrocchia in cui ti trovi. Avverrà una osmosi tra le due esperienze, ma occorre tempo, tanto tempo. Allora bisogna mettersi in ascolto della gente (che non vuol dire stare dietro ai discorsi), ma leggere negli anfratti del detto e non detto ciò che è necessario proporre, senza imporre. Poi bisogna anche lasciarsi fare da ciò che lo Spirito suggerisce e spesso i suoi suggerimenti sono evidenti. A me sembra di non aver fatto nulla di eccezionale, se non lasciare libere le persone di esprimere ciò che già avevano dentro e che avevano maturato col tempo.

5  

La tua grande apertura non ti ha però certo risparmiato critiche da qualche abitante del quartiere. C’era chi sosteneva che avevi aperto «troppo» le porte della parrocchia…

Le critiche fanno parte del rischio… ascoltare le persone non significa fare uno slalom tra le critiche alla ricerca di equilibri o di accontentare tutti. Spesso le critiche vengono da una visione della vita che è umanamente corretta e giusta, ma non evangelica. Faccio un esempio: per noi rubare è un peccato e non lo faremo mai, anche se rubiamo in tanti altri modi senza neanche accorgercene, quando subiamo un furto ci sentiamo toccati nel vivo, giustamente nel senso umano… nel senso evangelico dovremmo ricordarci che “a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica”; il porgere l’altra guancia e l’amare il proprio nemico è una proposta evangelica dura da digerire.

6  

Quali semi gettati nei 14 anni dalla comunità e dal suo parroco pensi abbiano dato frutto? Vista da un suo ex-parrocchiano-e-parroco quali pensi siano i carismi originali della comunità di S. Agostino? Quali doni per il quartiere e per la diocesi?

I semi non li ho gettati io… è significativa l’espressione di Gesù agli apostoli dopo l’incontro con la samaritana: altri hanno faticato e voi siete subentrati alla loro fatica, quando l’episodio inizia con Gesù affaticato che cerca da bere. Il Regno di Dio cresce in modo insondabile e ricco: noi vediamo il progetto di Dio come dal buco della serratura e vogliamo immaginarci anche quello che che non si vede e che si trova nelle stanze più interne.
Certo è che i parrocchiani hanno dato molto alla Diocesi ed al quartiere in termini di pensiero e collaborazione … una critica che viene fatta spesso (c’era prima del mio arrivo ed ho sentito ancora a due anni dalla mia partenza) è che i laici di S. Agostino “pensano”, hanno idee chiare sulla Chiesa e sul mondo, sulla patorale. Mi fa meraviglia che questo sia visto come un difetto. Pur sapendo che una parte considerevole della mia vita è legata a quella parrochia, ho sempre detto che la parrocchia non è mia, ma della gente, il parroco è solo di passaggio.

7  

Ora da 2 anni hai lasciato la tua comunità e giri l’Italia in lungo e in largo immagino che il tuo cuore torni spesso a riscaldarsi verso S. Agostino… Quali volti? Quali incontri? Quali esperienze ti sono rimaste attaccate alla pelle?

Alla pelle c’è attaccato molto e come dopo una scottatura la pelle si stacca con dolore, ma la pelle va cambiata. Nell’atuale servizio mi manca la parrocchia, il contatto quotidiano con le persone, avere qualcuno con cui crescere, succhiare un po’ di vangelo dalla esperienza degli altri, l’assemblea domenicale mi manca da morire.

8  

50 anni sono un traguardo importante. Rileggere la storia è importante se apre orizzonti al futuro. Quale messaggio allora, quali provocazioni per chi sarà nuovo parroco e per la comunità del domani?

Al nuovo parroco vorrei dire di fare una esperienza gioisa… di lasciarsi condurre allegramente tenendo stretto il timone per non perdere di vista il traguardo che è Gesù Cristo, ma sicuro  che ha manovratori attenti ed esperti alle vele.

20.04.2008